Come far durare un rapporto di coppia

Come far durare un rapporto di coppia

Come far durare un rapporto di coppia?

Cosa distingue un rapporto di coppia destinato a finire da uno destinato a durare a lungo? John Gottman ce ne parla nel suo libro “Intelligenza emotiva per la coppia”.

Per aiutare a risolvere i conflitti, molti terapeuti fanno leva sull’ascolto attivo e sul non giudizio. Eppure è noto a tutti che, in momenti di tensione, sia davvero difficile far presente una criticità rimanendo assertivi. Molti conflitti di coppia, infatti, dimostrano che è possibile continuare a rispettarsi, nonostante le discussioni non seguano le regole dell’ascolto attivo e dell’assertività: discutere in modo animato senza rovinare un rapporto è possibile, e non tutte le discussioni hanno come conseguenza il rancore.

Le azioni che alla lunga portano alla rottura

Gottman sostiene che ci siano delle azioni e degli atteggiamenti capaci di rovinare irrimediabilmente un rapporto.

Avvio difficile del litigio

Solitamente, quando si inizia una discussione aggredendo, criticando o accusando l’altra persona, con molta probabilità si instaurerà un circolo vizioso di attacco e difesa, da cui sarà difficilissimo sottrarsi.

I quattro cavalieri dell’Apocalisse

I “quattro cavalieri dell’apocalisse”, come li chiama Gottman, sono i veleni che si insinuano piano piano nelle coppie e che, se coltivati, possono determinarne la rottura.

Critica


La differenza tra la lamentela e la critica è, secondo Gottman, che la prima si riferisce a una situazione o a un comportamento, mentre la seconda colpisce la persona, che istintivamente si metterà sulla difensiva, creando tensione e risentimento.

Disprezzo


Come la critica, il disprezzo irrompe quando si perde fiducia nell’altra persona e si smette di stimarla, arrivando talvolta a insultarla, velatamente e non. Anche il sarcasmo spesso nasconde il disprezzo e la volontà di umiliare il partner.

Atteggiamento difensivo


Anche se può sembrare che l’atteggiamento difensivo sia innocuo o meno responsabile delle crisi che portano alla rottura, in realtà spesso fomenta i litigi, dato che il fatto di giustificarsi è un modo velato per far rimbalzare la responsabilità all’altra persona, rimproverandola indirettamente.

Ostruzionismo

L’ostruzionismo di solito arriva dopo alcuni anni, mentre è meno comune durante l’inizio di una relazione. Questo atteggiamento fa sì che la persona che si sente attaccata eviti del tutto la discussione, arrivando a ignorare il partner. Evitare di rispondere, distogliere lo sguardo sono tipici atteggiamenti di ostruzionismo. Solitamente si ricorre a quest’ultimo per scappare dal soffocamento.

Soffocamento


Il soffocamento è la reazione a un eccessivo stress provocato dalla negatività del partner (critica, disprezzo).

Il linguaggio del corpo


II corpo ci parla costantemente. Un battito cardiaco molto alto, la presenza di adrenalina e la pressione sanguigna troppo alta durante una discussione, possono segnalare un forte stress dovuto alla sensazione di soffocamento.

Come far durare un rapporto di coppia. I principi su cui si basa un’unione felice secondo John Gottman

Ampliare la mappa dell’amore


Continuare a conoscersi, ad essere curiosi sulla vita del partner, continuare a fare domande e a comunicare per capire cosa può essere migliorato.

Alimentare la tenerezza e l’ammirazione

Il disprezzo è l’esatto opposto dell’ammirazione e quest’ultima è un toccasana per un rapporto, che sia di amicizia o di altro tipo.

Avvicinarsi, non allontanarsi

Rimanere in contatto, rivolgersi al partner durante la gestione delle questioni quotidiane; raccontare ciò che ci succede, parlando anche di cose futili, purché si mantenga la connessione.

Lasciare che il partner ci influenzi

Significa prendere in considerazione i consigli e i desideri dell’altra persona, evitando di prendere decisioni in autonomia senza prima aver trovato un accordo.

Risolvere i problemi risolvibili

I problemi risolvibili richiedono impegno da parte di entrambi e la volontà di scendere a compromessi, oltre a una buona dose di organizzazione. Mettersi d’accordo e pianificare la risoluzione rafforza la complicità di coppia.

Convivere in modo sereno con i problemi non risolvibili


Gran parte dei problemi di coppia non sono risolvibili. Questo vuol dire che bisogna trovare il modo di conviverci senza che la negatività prevalga. Le coppie felici possono irritarsi e arrabbiarsi, ma nonostante ciò mantenere una profonda accettazione dell’altra persona.

Alimentare l’amicizia

Gentilezza, tolleranza, pazienza, complicità e lavoro di squadra sono alla base di una buona amicizia di coppia.

I tentativi di riparazione durante i conflitti

Quelli che Gottman chiama “tentativi di riparazione” servono a smorzare la tensione, a riportare un clima di complicità laddove stia prevalendo la rabbia o la delusione. Possono essere rappresentati, ad esempio, da una battuta o da un gesto simbolico.

E voi cosa ne pensate? Quali sono le azioni che fanno bene alla coppia?

Chiara

Madri e no.

Madri e no.

Sembra che la vita di coppia sia scandita da eventi ben precisi. Si va a convivere o ci si sposa, poi dopo qualche tempo si decide di dar vita a un altro essere umano, che ameremo visceralmente, a cui insegneremo tutto ciò che sappiamo della vita.

Ma deve essere così per tutti?

Ho da poco letto il libro “Madri e no. Ragioni e percorsi di non maternità” di Flavia Gasperetti. Leggendo alcuni dei suoi capitoli mi sono venute in mente molte riflessioni sull’idea che abbiamo della maternità.

Perché non ne senti il bisogno?

Ho conosciuto tante ragazze che, fin da adolescenti, sognavano un giorno di avere una famiglia. Non si sono mai poste la domanda: “Perché voglio figli?”.

Per altre invece è vero il contrario. Non ne hanno mai sentito il desiderio, eppure avranno certamente incontrato persone che implicitamente avranno chiesto loro: “Perché non ne senti il bisogno?”. Dico implicitamente, perché anche senza porre direttamente questa domanda, alcune affermazioni o domande retoriche hanno lo scopo di sminuire l’idea di non avere figli, o di renderla non credibile.

“Cambierai idea, vedrai!”
“I figli sono la cosa più bella!”
“Altrimenti che viviamo a fare?”
“E quindi cosa pensi di costruire nella tua vita?”
“Se non hai figli, non puoi capire cosa sia la stanchezza.”
“Tu non sei madre, non puoi capire.”
“I figli sono tutto.”
“I figli sono il sogno di ogni donna.”
“Che tristezza, una coppia senza figli…”
“Quella è una zitella.”
“Rimarrai da sola…e poi da vecchia chi ci sarà ad accudirti?”
“Poi te ne penti.”
“I figli è meglio farli da giovani!”

Alcune coppie arrivano a separarsi, prendendo due strade diverse, perché uno dei due ha in mente il progetto di creare una famiglia, mentre l’altro si sente già appagato e non ne sente il desiderio.

E se non cambiassi idea? La storia dell’orologio biologico

Certo, magari alcune cominciano a sentire il desiderio più avanti con l’età. Eppure certe donne non lo sentono mai. Come si spiega? Hanno forse qualcosa che non va?

L’orologio biologico è una semplice metafora della fecondità femminile, divenuta molto popolare dagli anni ’80 in poi. Inizialmente non è stata una rivista scientifica o un medico a dare al termine il significato che conosciamo, ma un giornalista, Richard Cohen, in un articolo pubblicato nel 1978.

Fino ad allora l’orologio biologico era stato un termine relativo ai ritmi circadiani dell’essere umano, mentre al giorno d’oggi sta spopolando nel nostro immaginario collettivo, dopo aver trovato una prima legittimazione in uno studio scientifico del 1982, che innanzitutto era finanziato da una federazione di centri per la fecondazione artificiale, che aveva preso un campione molto ristretto (circa 2,000 donne che, a causa della sterilità dei propri compagni, avevano provato l’ inseminazione assistita).

Dal punto di vista scientifico non è possibile ricondurre la difficoltà a restare incinta soltanto all’età avanzata delle madri, poiché sono tanti i fattori che incidono sulla fertilità. Tuttavia, quasi sempre la pressione viene scaricata soltanto sulle donne, poiché responsabili di “non averci pensato prima”: abbiamo tutte presente l’immagine dell’orologio che rintocca e che ci spinge a provare ad avere un figlio in tutti i modi. Alcune donne arrivano a sentirsi meno donne, se il figlio non arriva; alcune vivono un periodo di forte stress e mettono al centro del loro mondo la speranza di una gravidanza.

“E quindi quando lo fate un figlio?” (cit.)

I lati meravigliosi della maternità.

Se non tutte vogliamo essere madri, certamente tutte siamo figlie. Quando penso a una madre (o a un padre), mi vengono in mente l’accoglienza, l’affetto, la protezione. Credo che il fatto stesso di concepire e dare vita a un essere umano sia un’esperienza meravigliosa della natura. Veder crescere il proprio figlio o figlia è una bella avventura, fatta sia di sacrifici che di gioie.

Molte persone non riescono infatti a immaginare un futuro senza almeno un figlio; molti affermano che si sentono vuoti, incompleti, alla sola idea di non averne. Il fatto di poter accompagnare un figlio durante la sua crescita, di insegnargli tutto, di trascorrere del tempo insieme, di spronarlo a dare il meglio di sé, di amarlo incondizionatamente riempie di gioia la maggior parte di noi.

I lati oscuri della maternità.

Ho avuto modo di capire che la maggior parte delle donne prima o poi sente il desiderio di concepire e mettere al mondo un figlio.

Conosco donne che, organizzandosi, sono riuscite a tirare avanti tutto: vita di coppia, lavoro, crescita dei figli, passatempi, tempo libero.

Una di queste mi ha spiegato che per lei avere un figlio significava aver trovato lo scopo della vita.

Spesso ci focalizziamo sul lato meraviglioso della genitorialità: sulla tenerezza.
Solitamente, quando le persone pensano ai figli, non riflettono sul periodo in cui potrebbero essere svegliati di notte quattro volte in due ore; non pensano al fatto che, soprattutto per la donna, le giornate dei primi mesi di vita voleranno via tra poppate e cambi di pannolini; non pensano al fatto che il corpo potrebbe subire dei cambiamenti, così come il desiderio sessuale e la vita di coppia.
Per amore questo si può certamente fare e prima o poi si creerà un nuovo equilibrio.

Quello che voglio dire è che trovo sbagliato far passare il messaggio che la maternità sia un perfetto stato di grazia composto soltanto da gioia e tenerezza. Molti romanzi e molti film non approfondiscono i cosiddetti lati ombra, che invece dovremmo conoscere tutti.

Silvia Abrami ne ha parlato molto dettagliatamente in un suo articolo:
https://www.silviaabrami.it/consapevolezza/gravidanza-ombra/

Inoltre, i figli non sono pupazzi. Non servono per colmare un vuoto affettivo, non servono per compiere ciò che noi non siamo riusciti a realizzare.

Leggo in un forum:
“Da quando ho avuto i miei figli ho rinunciato ai miei passatempi, al lavoro e al tempo libero. Eppure mi sento la donna più felice del mondo quando uno di loro mi guarda e mi dice che mi ama”.

Certo, lo posso capire. Tuttavia posso capire molto bene anche chi non se la sente di mettere al mondo un altro essere umano, con tutte le responsabilità che questo comporta.

In conclusione

Come già scritto, questa mia riflessione è nata dalla lettura del libro di Flavia Gasperetti.

Le domande che mi pongo sono:
I figli sono lo scopo ultimo della nostra vita?
Senza figli siamo incompleti?

Quale motivo vi spingerebbe a desiderare un figlio?
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Tutto chiede salvezza

Tutto chiede salvezza

Ho da poco finito di guardare questa serie tv presente su Netflix.

Trattamento sanitario obbligatorio.

Differenze tra gli anni ’90 e i giorni nostri

La serie è tratta dal libro di Daniele Mencarelli, che negli anni ’90 venne sottoposto a un ricovero in un ospedale psichiatrico dopo un violento attacco di rabbia. La serie tv è stata tuttavia ambientata ai giorni nostri.

Degli anni ’90 fa parte in generale l’ atteggiamento del personale infermieristico, in alcuni casi duro e ostile.

Dei giorni nostri invece è presente l’accenno ai social network e al ruolo negativo che possono esercitare sulla vita delle persone (soprattutto di quelle più fragili).

Temi della serie

Tra i temi affrontati troviamo:

Bipolarismo

Suicidio

Attacchi di rabbia

Fratellanza

Lutto

Ho trovato molto interessante il fatto che venga dato spazio ad alcuni particolari della storia di ognuno dei pazienti, non solo del protagonista Daniele.

Nel caso di quest’ultimo, nel corso della serie si comprende come la sua stabilità mentale fosse già a rischio prima della vicenda che lo ha portato nell’istituto.

Daniele viene trattato (soprattutto dal fratello e dalla sorella) come la “testa calda” della famiglia, quello che ha sempre creato guai e dolore.

L’ atteggiamento dei genitori del protagonista

I genitori, dopo un primo momento di rassegnazione e di allontanamento da Daniele, torneranno pian piano a sperare nella sua guarigione.

Il legame tra i personaggi

Il legame instaurato tra i personaggi costituisce la possibilità di salvezza per tutti loro.

Mario si dimostra un uomo dal cuore d’oro e nutre un affetto di tipo paterno nei confronti degli altri.

Gianluca è vittima di incomprensione e maltrattamento da parte dei familiari, a causa del suo orientamento sessuale. Tanto gentile e gioioso, quanto geloso e soggetto a sbalzi di umore, renderà la permanenza allegra e ricca di colpi di scena.

Giorgio rappresenta il “gigante buono”, un ragazzo mansueto. Nasconde però un forte trauma legato alla morte della madre, che gli causa attacchi di rabbia e un senso di impotenza.

Di Madonnina e Alessandro invece non sappiamo molto, a causa della loro impossibilità di esprimersi a parole. Partecipano, tuttavia, alla creazione di un clima fratellanza con la loro semplice presenza. Tanto che, in più di un’occasione, il protagonista fantastica di poterci parlare apertamente.

Nina, che probabilmente è quella che desta più irritazione e meno empatia, sotto la corazza da ragazza attraente e potente si rivela un’anima fragile, manovrata da una madre che la vuole famosa a tutti i costi, a costo anche della sua salute mentale. Consapevole della propria incompetenza come attrice, si mostra fredda e superba, celando tuttavia una grave sofferenza.

Ho trovato la serie molto toccante e interpretata egregiamente.

Mi fa piacere che i temi della malattia mentale e dei disturbi psichici vengano affrontati sempre più spesso rispetto agli anni passati.

Mi dispiace solo di aver visto prima la serie rispetto al libro, ma non mancherò di leggere anche quello.

Per una recensione della serie tv realizzata dallo psicologo Gennaro Romagnoli, cliccate qui.

A presto!

Chiara

Brutta. Storia di un corpo come tanti

Brutta. Storia di un corpo come tanti

Un libro di Giulia Blasi che esorta a ribellarsi a un’idea di bellezza artefatta. L’autrice ripercorre la sua storia a cominciare dall’infanzia, spiegando gli avvenimenti che l’hanno portata a sentirsi e ad essere considerata “brutta”.


Habitual body monitoring

Ho trovato molto interessante il fatto che sia stato dato un nome a quell’azione che molti di noi ripetono tutti i giorni, ovvero il controllo quotidiano del proprio aspetto (soprattutto di alcune parti del corpo).
Vogliamo parlare della tanto odiata pancetta? Sembra che avere una pancia sporgente di qualche centimetro sia la prova che non ci impegniamo abbastanza, che siamo pigri, pantofolai.

Oggi vediamo rappresentate anche donne con taglie più grandi e le cosce più tornite ma, chissà come mai, i rotolini di pancia sono sempre assenti dai cartelloni pubblicitari, così come la cellulite.

E gli uomini? É raro vedere modelli che non siano alti e che non abbiano bicipiti e addominali scolpiti. Per molto tempo ho erroneamente pensato che gli standard di bellezza irrealistici gravassero solo sulle donne: non è affatto così.

Sei femminista perché sei cessa

Il mito della donna femminista perché brutta è duro a morire e si basa sulla credenza che l’essere sessualmente desiderabili renda felici, mentre il non esserlo renda le donne rancorose contro i maschi. Come se tutte le esigenze femminili ruotassero attorno alla capacità di piacere agli uomini.

– In effetti penso a molte trasmissioni televisive, alla telecamera che riprende una giornalista dal basso verso l’alto, mentre l’uomo viene solitamente ripreso frontalmente;
– penso alla figura della “donna immagine” che rappresenta un abbellimento, un qualcosa che attira semplicemente l’attenzione;
– penso anche alle scene di sesso, spesso rappresentate da persone ritenute sessualmente attraenti.

Se è vero che negli ultimi anni assistiamo a una sessualizzazione anche del corpo maschile (accade ad esempio nel mondo dello sport), la donna rimane il simbolo per eccellenza dell’attrazione sessuale e fatica a sganciarsi da questo ruolo.

Pezzi di donna girano nelle chat per essere valutati, votati, guardati con desiderio.

Scrive Giulia: “La mucca è un animale finché non diventa un pezzo di carne. La donna è un essere umano finché viva e presente, non quando è a pezzi”.

La bellezza ti cambia la vita?

“Una donna bella, che si vede riconosciuta la sua bellezza come un fatto indiscutibile, fa una vita diversa dalla mia. Il suo corpo può essere offerto, utilizzato, guardato, ammirato […]. Il mio viene sottratto, minimizzato”.

“Quando sei bella, tutti si aspettano sempre che basti molto meno, che tu debba solo stare immobile ed emanare raggi di bellezza”.

Ma siamo sicuri che la bellezza comunemente intesa non possa essere anche uno svantaggio? Se una ragazza è bella, in certi ambienti le si chiede di rimanere almeno umile, di “non tirarsela”. Se sei bella è possibile che tu venga tacciata di essere vuota come una bambola. E anche questa è una forma di discriminazione.

La cultura dello stupro

“Ma com’eri vestita?” (cit.)

Lo stupro viene, ad oggi, considerato ancora troppo spesso come misura della bellezza. Come a dire: “Sei bella, quindi camuffati perché altrimenti ti andrai a cercare brutte situazioni”.
Lo stupro come inevitabilità. Se sei brutta nessuno ti vuole stuprare, perché non ti vuole nessuno.

Forse non è chiaro quale sia il significato più profondo dello stupro: annullare, umiliare, schiacciare la vittima. Che si tratti di donne o uomini, che siano giovani o anziani, attraenti o meno.

La menopausa, questa sconosciuta

L’autrice mette in evidenza come non si parli quasi mai della menopausa, come se fosse qualcosa da nascondere e di cui vergognarsi. Arriva silenziosamente, con i suoi sintomi psicologici e corporei.

“La menopausa arriva a dirti: è fatta sorella, ora sei una vecchia”.

Perché la vecchiaia è così temuta? Essere vecchia significa non essere più l’emblema dell’attrazione sessuale, non essere più la potenziale madre dei figli di qualcuno. Per una donna, purtroppo, viene oggi considerata spesso una condizione di svantaggio, di declino.

Osserviamo la natura: le stagioni si susseguono, tutto cambia. Allora perché noi preferiamo rifiutare il cambiamento e combatterlo? Perché ci terrorizza così tanto invecchiare?

E gli uomini? La sofferenza maschile

Non credo che gli uomini se la passino molto meglio.
Mi viene da pensare al fenomeno degli Incel (“involuntary celibate”).

I social network hanno senz’altro contribuito a cambiare gli equilibri. Per avere centinaia di followers oggi, a una donna mediamente attraente, basta aprire una pagina Instagram e pubblicare fotografie sensuali.

Ho ascoltato ragazze deridere le dimensioni del pene di alcuni ragazzi, oppure deriderli per le loro fattezze, proprio come succede alle ragazze.

In generale, gli uomini maggiormente discriminati per l’ aspetto fisico sono:

uomini in sovrappeso;

uomini più bassi di un certo standard;

uomini senza capelli;

uomini con dimensioni del pene più piccole della media (il cosiddetto “dick shaming“);

uomini che non riescono a farsi crescere la barba;

uomini che in generale non ostentano una mascolinità marcata

Penso che sia arrivato il momento di comprendere che, sì, le donne sono state a lungo castrate, soffocate, sottomesse, ma attualmente sia uomini che donne stanno subendo costanti pressioni psicologiche sul proprio aspetto fisico.

Non sarà forse arrivato il momento di ribellarci tutti insieme?

P.s. Se vi interessano alcuni consigli per liberarvi dall’ossessione sul vostro aspetto, leggete questo articolo: Ossessione per la bellezza: 3 consigli

Se volete leggere il libro di Giulia Blasi, lo trovate qui.

Chiara

Come diventare un Buddha in cinque settimane

Come diventare un Buddha in cinque settimane

Nel brillante libro di Giulio Cesare Giacobbe, “Come diventare un Buddha in cinque settimane”, viene spiegata con un linguaggio semplice la filosofia psicologica alla base del buddismo.

Lo so, è facile vivere nel presente quando si sta bene. Proviamo a stare nel presente quando vorremmo solo fuggire da una situazione!

Sì, smettere di ascoltare la mente che produce continuamente pensieri del tipo “Questa vita non mi piace, non so come fare. Questa situazione non la sopporto più. Non ce la faccio più, sono stufo” non è affatto automatico, ma serve un allenamento quotidiano. Proprio come quando si sceglie di andare in palestra per temprare il corpo, la mindfulness non fa che temprare lo spirito.

Condivido alcune citazioni tratte dal libro, sperando di accendere in qualcuno di voi una scintilla, proprio come si è accesa a me durante la lettura del libro (fra l’altro, l’autore è davvero autoironico e divertente).

Reagire alle situazioni scomode

“La nostra serenità non dipende dalle situazioni ma dalla nostra reazione a esse”.

Una delle mansioni quotidiane che mi hanno affidato al lavoro durante la pandemia del coronavirus è stata quella della misurazione della febbre a tutti i colleghi.
Le prime mattinate, le prime settimane, affrontavo il compito giusto con un po’ di impazienza, sperando che finisse il prima possibile. Alcuni colleghi sembravano indisposti, mentre altri più collaborativi. Via via che passava il tempo, però, diventavano sempre più indisposti, ed io avevo cominciato a provare una strana ansia anticipatoria che mi creava repulsione nei confronti di questo compito. Mi sentivo di troppo, dovevo interrompere il lavoro degli altri tutti i singoli giorni. Non è semplice svolgere una mansione che ci crea la paura del giudizio altrui. Svolgerla ogni singolo giorno la rende ancora più pesante (per quanto banale possa sembrare dall’esterno).

Stare nel presente significa affrontare ogni paura come se fosse unica, come se non ci fosse un passato a cui agganciarsi. Naturalmente la mia ansia dipendeva dalla reazione alla situazione e, in quel caso, dalla paura di scocciare gli altri, di essere giudicata, di sentirmi inadeguata, di svolgere una mansione non solo inutile, ma noiosa per tutti. Qualcun altro forse al mio posto avrebbe reagito in modo totalmente diverso e, chissà, avrebbe approfittato della situazione per fare due chiacchiere con i colleghi.

Attaccamento e avversione alle situazioni

“La sofferenza deriva dall’attaccamento a una situazione diversa da quella che c’è, dal desiderio di qualcosa che non ho o dall’avversione a qualcosa che ho”.

Qualche anno fa, quando mi è capitato di essere scartata durante un periodo di prova lavorativa, ci sono rimasta malissimo. Era come se il mondo mi fosse crollato addosso, con tutte le sue illusioni. Avevo sperato fino all’ultimo secondo di essere assunta con un regolare contratto, eppure non era accaduto. Dopo un po’ di tempo, ho trovato al contrario un noioso tirocinio in comune, in cui passavo la maggior parte del tempo sperando che la giornata passasse in fretta.

Se non possiamo evitare di avere questi pensieri, certamente possiamo evitare di nutrirli con altri pensieri – le cosiddette seghe mentali (scusate il francesismo) – che altro non fanno che farci uscire dalla realtà, facendoci entrare in un loop mentale di sconforto, frustrazione, ansia anticipatoria e rimpianti.

Sì, in alcune situazioni è molto più semplice rimanere nel presente invece di entrare nel loop: ad esempio un giorno stavo facendo una bella camminata in collina, quando durante la salita cominciai a pensare che non ne potevo più, che mi stavo stancando troppo. Invece di nutrire quei pensieri, mi concentrai sui miei piedi. Mi focalizzai su un piede alla volta che compiva un passo in avanti, sentendo la fatica nei muscoli delle cosce e dei polpacci. Come per magia, poco dopo la sensazione di frustrazione se ne era già andata. Avete idea di quanto sarebbe potuta durare, se avessi continuato sulla scia del primo pensiero?

Il vuoto mentale

“Noi soffriamo perché prendiamo per reali i fantasmi della nostra mente”. […]

“Un buddha vive tendenzialmente nel vuoto mentale. Il vuoto mentale però non deve essere ricercato ossessivamente. Infatti questo genererebbe tensione, invece di eliminarla. […]

Fare otto respiri profondi e calmare il respiro. Non è importante tanto mantenerlo a lungo in questa calma, quanto il portarlo spesso in questa condizione”.

Se ricordarsi il più spesso possibile che i nostri pensieri non sono la realtà fosse così semplice, saremmo tutti dei Buddha.

Dato che non è così facile, proprio per questo il buddhismo prevede gli Otto Nobili Sentieri:

Retta conoscenza
Retto pensiero
Retta parola
Retta azione
Retti mezzi di sussistenza
Retto sforzo
Retta presenza mentale
Retta concentrazione

G.C. Giacobbe afferma serenamente che, a livello pratico, questa può essere considerata una disciplina psicologica (nulla toglie che possa rappresentare anche un credo religioso).

Secondo lui si tratta sostanzialmente di farla entrare, giorno dopo giorno, sempre più nella nostra vita, attraverso degli esercizi di meditazione che durano pochi minuti e che possono essere ripetuti una o più volte al giorno. Gli esercizi si basano sulla concentrazione dell’attenzione sul proprio respiro e dunque sulla consapevolezza (mindfulness).

Un altro libro dello stesso autore, “Come smettere di farsi le seghe mentali e godersi la vita”, segue la stessa scia, tenendo sempre presente una sana dose di umorismo e autoironia. Giuro che in certi passaggi del libro mi sono scompisciata dalle risate!

Un canale che ho utilizzato per praticare la meditazione:
Canale YouTube La Via della Consapevolezza

Intervista a Giulio Cesare Giacobbe:
Giulio Cesare Giacobbe ci racconta i suoi libri

Se vi interessa leggere il libro, lo trovate qui.

E voi avete dei consigli di lettura da condividere sulla mindfulness? Vi aspetto nei commenti.

Chiara

La naturale capacità di amare di M. Scardovelli

La naturale capacità di amare di M. Scardovelli

Ho letto questo libro perché stimo molto Mauro Scardovelli. Amo il lavoro di divulgazione che sta facendo. Mi piace la sua simpatia, la sua capacità di far battute parlando di problemi psichici, assumendo però un atteggiamento serio quando ce n’è bisogno.

Mauro Scardovelli è psicoterapeuta, giurista e fondatore, insieme a sua moglie Carolina Bozzo – biologa e counselor – di Aleph, che tiene corsi di formazione psicologica per chi voglia intraprendere un percorso di conoscenza profonda di sé e di tutti i meccanismi che muovono gli esseri umani e la società.

Apprezzo molto che Mauro, Carolina e tutto lo staff uniscano il tema della psicologia a quello dell’economia e della politica. Vi invito davvero a guardare i video caricati su Youtube che trattano questi temi.

Premesso questo, oggi vorrei parlare di uno dei suoi libri, “La naturale capacità di amare”, in cui affronta il tema della libertà interiore come premessa alla libertà politica. In particolar modo, seguendo e commentando il pensiero dello psicologo Wilhem Reich, affronta l’importanza del corpo e della sua libera espressione, sessuale e creativa.

La differenza tra la sessualità nevrotica e quella naturale.

La sessualità del nevrotico è vista come desiderio di perforare, dominare. Si tratta di una sessualità di tipo pornografico.
Riporto qui un breve estratto:

“Secondo quanto è stato dichiarato unanimemente da uomini e donne orgasticamente potenti, le sensazioni di piacere sono tanto più intense, quanto più gli strofinamenti sono lenti, delicati e reciprocamente armonizzati”.

Molto interessante è il paragone tra la curva dell’orgasmo (eccitazione, acme, scarico della tensione e rilassamento) e attività artistiche come la musica e la danza.

Cosa porta a sviluppare la nevrosi e le malattie psicosomatiche?

Le malattie psicosomatiche derivano, secondo l’ autore, dall’ etica autoritaria e dalla repressione delle pulsioni primarie (sessualità, aggressività positiva, muoversi…), che creano un conflitto tra dovere e piacere. Il lavoro stesso, intriso di autoritarismo, diventa una necessità da svolgere senza entusiasmo, così come spesso avviene nell’apprendimento scolastico.

L’importanza del corpo.

I pazienti di Reich spiegavano che la repressione delle proprie emozioni era avvenuta in concomitanza di un irrigidimento muscolare.
Perciò, ogni volta che si scioglie un irrigidimento cronico, si libera anche l’energia vitale e si lascia andare la repressione.

Bellezza-potere e bellezza-armonia.

Un discorso a parte merita la distinzione tra bellezza-potere e bellezza-armonia.
La prima è per sua natura selettiva, mira a creare conflitto, competizione, potere da una parte e invidia dall’altra. La bellezza-armonia crea intorno a sé collaborazione, amore per la natura e per la vita, gioia, entusiasmo.

A questo proposito mi viene in mente un altro libro, “Il corpo delle donne” di Lorella Zanardo:

“Raffaella sale, Raffaella scende, Raffaella sale, e così via…Sono le otto di sera”.

In questo estratto l’autrice fa riferimento a un programma televisivo seguito da molte famiglie italiane, in cui una giovane ragazza, vestita in modo succinto, sale e scende da una scala, con la telecamera che riprende ogni suo movimento dal basso. Questo è un perfetto esempio di bellezza-potere, che istiga la società a spaccarsi: l’ipereccitazione sessuale da una parte, il fastidio dall’altra.

Ed ecco che mi rendo conto di quanto sia importante concentrare le energie sulla crescita personale, piuttosto che sul potere effimero. Quante persone ci sono che stanno male perché si sentono frustrate per il loro aspetto fisico che non rientra nei canoni stabiliti dai media, o che non accettano le proprie emozioni e le reprimono?

La naturale capacità di amare passa dalla liberazione dall’etica autoritaria.

Chiara

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