
Come diventare un Buddha in cinque settimane
Nel brillante libro di Giulio Cesare Giacobbe, “Come diventare un Buddha in cinque settimane”, viene spiegata con un linguaggio semplice la filosofia psicologica alla base del buddismo.
Lo so, è facile vivere nel presente quando si sta bene. Proviamo a stare nel presente quando vorremmo solo fuggire da una situazione!
Sì, smettere di ascoltare la mente che produce continuamente pensieri del tipo “Questa vita non mi piace, non so come fare. Questa situazione non la sopporto più. Non ce la faccio più, sono stufo” non è affatto automatico, ma serve un allenamento quotidiano. Proprio come quando si sceglie di andare in palestra per temprare il corpo, la mindfulness non fa che temprare lo spirito.
Condivido alcune citazioni tratte dal libro, sperando di accendere in qualcuno di voi una scintilla, proprio come si è accesa a me durante la lettura del libro (fra l’altro, l’autore è davvero autoironico e divertente).
Reagire alle situazioni scomode
“La nostra serenità non dipende dalle situazioni ma dalla nostra reazione a esse”.
Una delle mansioni quotidiane che mi hanno affidato al lavoro durante la pandemia del coronavirus è stata quella della misurazione della febbre a tutti i colleghi.
Le prime mattinate, le prime settimane, affrontavo il compito giusto con un po’ di impazienza, sperando che finisse il prima possibile. Alcuni colleghi sembravano indisposti, mentre altri più collaborativi. Via via che passava il tempo, però, diventavano sempre più indisposti, ed io avevo cominciato a provare una strana ansia anticipatoria che mi creava repulsione nei confronti di questo compito. Mi sentivo di troppo, dovevo interrompere il lavoro degli altri tutti i singoli giorni. Non è semplice svolgere una mansione che ci crea la paura del giudizio altrui. Svolgerla ogni singolo giorno la rende ancora più pesante (per quanto banale possa sembrare dall’esterno).
Stare nel presente significa affrontare ogni paura come se fosse unica, come se non ci fosse un passato a cui agganciarsi. Naturalmente la mia ansia dipendeva dalla reazione alla situazione e, in quel caso, dalla paura di scocciare gli altri, di essere giudicata, di sentirmi inadeguata, di svolgere una mansione non solo inutile, ma noiosa per tutti. Qualcun altro forse al mio posto avrebbe reagito in modo totalmente diverso e, chissà, avrebbe approfittato della situazione per fare due chiacchiere con i colleghi.
Attaccamento e avversione alle situazioni
“La sofferenza deriva dall’attaccamento a una situazione diversa da quella che c’è, dal desiderio di qualcosa che non ho o dall’avversione a qualcosa che ho”.
Qualche anno fa, quando mi è capitato di essere scartata durante un periodo di prova lavorativa, ci sono rimasta malissimo. Era come se il mondo mi fosse crollato addosso, con tutte le sue illusioni. Avevo sperato fino all’ultimo secondo di essere assunta con un regolare contratto, eppure non era accaduto. Dopo un po’ di tempo, ho trovato al contrario un noioso tirocinio in comune, in cui passavo la maggior parte del tempo sperando che la giornata passasse in fretta.
Se non possiamo evitare di avere questi pensieri, certamente possiamo evitare di nutrirli con altri pensieri – le cosiddette seghe mentali (scusate il francesismo) – che altro non fanno che farci uscire dalla realtà, facendoci entrare in un loop mentale di sconforto, frustrazione, ansia anticipatoria e rimpianti.
Sì, in alcune situazioni è molto più semplice rimanere nel presente invece di entrare nel loop: ad esempio un giorno stavo facendo una bella camminata in collina, quando durante la salita cominciai a pensare che non ne potevo più, che mi stavo stancando troppo. Invece di nutrire quei pensieri, mi concentrai sui miei piedi. Mi focalizzai su un piede alla volta che compiva un passo in avanti, sentendo la fatica nei muscoli delle cosce e dei polpacci. Come per magia, poco dopo la sensazione di frustrazione se ne era già andata. Avete idea di quanto sarebbe potuta durare, se avessi continuato sulla scia del primo pensiero?
Il vuoto mentale
“Noi soffriamo perché prendiamo per reali i fantasmi della nostra mente”. […]
“Un buddha vive tendenzialmente nel vuoto mentale. Il vuoto mentale però non deve essere ricercato ossessivamente. Infatti questo genererebbe tensione, invece di eliminarla. […]
Fare otto respiri profondi e calmare il respiro. Non è importante tanto mantenerlo a lungo in questa calma, quanto il portarlo spesso in questa condizione”.
Se ricordarsi il più spesso possibile che i nostri pensieri non sono la realtà fosse così semplice, saremmo tutti dei Buddha.
Dato che non è così facile, proprio per questo il buddhismo prevede gli Otto Nobili Sentieri:
Retta conoscenza
Retto pensiero
Retta parola
Retta azione
Retti mezzi di sussistenza
Retto sforzo
Retta presenza mentale
Retta concentrazione
G.C. Giacobbe afferma serenamente che, a livello pratico, questa può essere considerata una disciplina psicologica (nulla toglie che possa rappresentare anche un credo religioso).
Secondo lui si tratta sostanzialmente di farla entrare, giorno dopo giorno, sempre più nella nostra vita, attraverso degli esercizi di meditazione che durano pochi minuti e che possono essere ripetuti una o più volte al giorno. Gli esercizi si basano sulla concentrazione dell’attenzione sul proprio respiro e dunque sulla consapevolezza (mindfulness).
Un altro libro dello stesso autore, “Come smettere di farsi le seghe mentali e godersi la vita”, segue la stessa scia, tenendo sempre presente una sana dose di umorismo e autoironia. Giuro che in certi passaggi del libro mi sono scompisciata dalle risate!
Un canale che ho utilizzato per praticare la meditazione:
Canale YouTube La Via della Consapevolezza
Intervista a Giulio Cesare Giacobbe:
Giulio Cesare Giacobbe ci racconta i suoi libri
Se vi interessa leggere il libro, lo trovate qui.
E voi avete dei consigli di lettura da condividere sulla mindfulness? Vi aspetto nei commenti.
Chiara