Diario di un’ ipocrita: dire di no ti libera

Diario di un’ ipocrita: dire di no ti libera

Nella società occidentale odierna sono presenti alcuni atteggiamenti che, seppur negativi, vengono compresi e accettati, mentre al contrario altri sentimenti sono fonte di vergogna. Qualche esempio? La gelosia, anche quando diventa possessività, viene generalmente tollerata. Molte persone che conosco mi hanno tranquillamente raccontato di essere gelose o possessive.

Non mi è mai successo, però, di incontrare qualcuno che mi parlasse apertamente dell’invidia, oppure dell’ipocrisia. Queste due parole io le chiamo “giudizi infernali” (ironicamente, s’intende😃), perché sono in grado di farci sentire in colpa come non mai, per non parlare dell’umiliazione e della reputazione che va sotto terra. Ah, già, la nostra “amica reputazione”! Senza di lei ci sentiremmo quasi persi. Ci identifichiamo con la nostra reputazione.
Quello che ci scordiamo è che la vita è un flusso, uno scorrere di attimi e di emozioni, trasparenti o più torbide, proprio come l’acqua.

Che senso ha negare l’esistenza di alcune emozioni dentro di noi? Ha molto senso se ci troviamo nella sfera dell’ego, perché l’ego ha costante bisogno di approvazione, di sentirsi dire “hai fatto bene, bravo”, per sentirsi appagato.

Un esempio di ipocrisia: la mia esperienza

Veniamo alla mia ipocrisia. Al di là delle piccole situazioni quotidiane, ho vissuto periodi in cui sono andata contro la mia natura per accontentare gli altri, rinunciando alla sincerità, ovvero fingendo.

Una scelta che non si accordava con la mia natura è stata l’insegnamento del catechismo. Vivevo in un paesino in cui quasi tutti ci conoscevamo. Il parroco che mi aveva fatto fare la comunione veniva ogni anno a benedire la nostra casa e, un bel giorno, mi chiese il numero perché voleva sapere se fossi disposta ad aiutarlo. Io non sapevo cosa volesse propormi, ma gli detti il numero. Quando chiamò, mi chiese di incontrarci in parrocchia e io accettai, immaginando già cosa mi volesse proporre.

Mi ero preparata un discorso per dire di no, per spiegare che ero troppo impegnata e non ce l’avrei fatta ad assumermi un impegno fisso, anche se si trattava solo di un’ ora a settimana.
Bene, tra la teoria e la pratica c’è un abisso.

Infatti mi sentii bloccata già dopo due frasi del parroco:
1. “I due ragazzi che c’erano prima hanno lasciato. Ci sono rimasto male, devo dire la verità.”
2. “Parliamoci chiaro, chi vuole fare una cosa, il modo lo trova. Se uno non vuole farla, trova delle scuse.
G. ad esempio ha affrontato l’ultimo anno di liceo insieme alle lezioni di guida per la patente, ma nonostante ciò non ha lasciato il catechismo.”

Ero in trappola, il mio discorso su quanto fossi impegnata non avrebbe retto. Accettai. Tanto era solo un’ora. I ragazzini avevano undici anni. Poteva essere un’occasione di crescita anche per me e lo è stato certamente.

Solo che:

  • tutte le domeniche ci si aspetta che un catechista vada in chiesa;
  • ogni volta che ci sono ricorrenze importanti, bisogna andare in parrocchia a preparare cartelloni e via dicendo;
  • preparare il materiale per insegnare richiede tempo, e i ragazzini lo trovano quasi sempre noioso e inutile, chiaramente;
  • i ragazzi hanno tranquillamente provato a mettermi i piedi in testa impedendomi di fare lezione . C’ erano delle volte in cui tornavo a casa e mi sentivo dire: “dovresti fare cosi per farti ascoltare” oppure “se lasci catechismo creerai dei problemi a Don M”.
Guardarsi dentro ed essere sinceri con se stessi.

Questo compito era in sintonia con la mia natura? No.
Beh, se si fosse trattato di dare una mano solo una volta alla settimana, senza ulteriori impegni, discutendo anche di argomenti di attualità, etica e psicologia, lo sarebbe stato. Ma non era così.

Agli occhi di tutti dovevo risultare una cattolica praticante. Non era solo un “aiuto”. Entrare in parrocchia significava far parte di un gruppo del quale non mi sentivo parte.

Il mio rapporto con la religione cattolica

Il mio rapporto nei confronti delle religioni è sempre stato confuso fin dall’adolescenza. I miei genitori da piccola mi avevano imposto la religione cattolica. Crescendo, avevo aperto la mente ad altre strade spirituali che non implicassero delle regole da seguire per poter arrivare a una teorica salvezza.

Potevo sbagliarmi o no, non lo so. Ognuno ha la sua verità. In ogni caso, mi ero aperta sia alla filosofia del buddismo, che all’insegnamento di Gesù, come anche a quello di Osho e di altri filosofi. Mi ero aperta a un cammino spirituale tutto mio, personale.

Quando andavo (costretta) in chiesa, i miei continuavano a seguire la loro religione pregando ad alta voce, mentre io mi sentivo un pesce fuor d’ acqua, fuori posto. Certe litanie non mi risuonavano, non le sentivo dentro.

Mi stavo comportando ipocritamente, cioè stavo andando contro la mia natura di spirito libero per evitare di esprimere me stessa e poter avere l’approvazione degli altri.

Non fraintendete, si può essere aperti pur scegliendo una sola religione, è questione di animo. In realtà non me la sentivo di scegliere proprio quella religione, e quando il prete veniva a benedire la nostra casa io mi facevo il segno della croce per il rispetto che provo nei confronti della spiritualità in generale, non perché mi sentissi credente nel Dio cristiano.

Ormai avevo accettato un incarico. Tutti credevano nel mio essere cattolica. E continuavo a fingere, implodendo.

Mi ero dimenticata di me
– Per far contenti i miei genitori
– Per far contento il parroco
– Per non dovermi trovare nella situazione di dire di no, per poi sentirmi tremendamente in colpa
– Per esser giudicata bene, una ragazza altruista
– Per non esprimere i miei veri sentimenti nei confronti della religione, che erano confusi e di cui mi vergognavo a parlare. Tutti gli altri invece mi sembravano cosi convinti delle proprie scelte.

Mi dispiace e chiedo scusa a me stessa. In ogni caso, visto che tutto ciò che porta dolore porta anche evoluzione,

ho imparato una lezione importante:

adesso, prima di dire di sì, conoscendo la mia propensione ad accettare sempre e comunque, uso questo semplice trucco e dico semplicemente:

“Ho bisogno di prendermi del tempo per rifletterci bene. Poi ti darò una risposta.”

Perché? In questo modo ho la possibilità di pensare da sola, senza il condizionamento della persona lì davanti che vuole un riscontro immediato. Ne abbiamo il diritto!

Se potete, fatelo! Se potete donare il vostro aiuto spontaneamente, beh mi sembra lodevole! Ma se lo fate solo perché avete paura di esprimere la vostra vera opinione, vi prego fatevi questo piacere: riconoscete il vostro diritto di fare ciò che vi fa sentire bene e non in gabbia, frustrati. Sembra banale, ma si tratta di volersi bene.

Esistono molti libri a tal proposito e mi sento di consigliarvi “Le persone sensibili sanno dire di no” di Rolf Sellin.

A presto.

Chiara

Pin It on Pinterest

Privacy Policy Cookie Policy