Capitalismo e frustrazione

Capitalismo e frustrazione

Questo è ciò che chiamo un articolo di sfogo, di denuncia.

La produzione sembra essere il fulcro dell’esistenza. Quaranta ore settimanali che siamo costretti a trascorrere al chiuso, con persone che non ci siamo scelti.

A cosa serve sfogarsi? Concretamente a niente, vero? Eppure per me è un processo di disintossicazione. Cerco di non giudicare ciò che mi viene in mente, sono solo pensieri.

La scrittura mi è sempre piaciuta per questo, perché in un certo senso significa dare vita a ciò che si ha dentro, poterlo osservare così com’è, senza altri scopi se non quello di lasciare andare qualcosa che c’è e che non vuole uscire perché fa paura.

Questa che riporto qui sotto è il mio flusso di coscienza relativo alla mia esperienza di qualche anno fa come apprendista, in una realtà che si inserisce nel contesto più ampio del capitalismo odierno, che obbliga tutti a correre, a produrre, ad affrettarsi: concorrenza, profitto, ansia.

La giornata tipo di molti lavoratori

Mi alzo, maledicendo la sveglia. Gli occhi mi fanno quasi male dal sonno. Mi sento stanca, stordita, come se non fossi pronta. Per fortuna la sensazione delle occhiaie doloranti lascia piano piano il posto all’ energia vitale.

Mi ritaglio del tempo per me stessa di prima mattina. Faccio un po’ di esercizio fisico, oppure mi esercito con una lingua straniera, faccio un esercizio di rilassamento, a volte scrivo qualche pensiero sul mio diario.

Parto, metto la mia musica preferita e mi immergo nel traffico mattutino. Si sta bene, il sole illumina gli alberi che danno sulla strada. Ogni tanto sogno di poter cambiare tragitto, senza avvertire nessuno, e poter andare in altri luoghi, con il venticello mattutino che mi accarezza.

La giornata inizia, alienante, piena di persone che non hanno tempo di starmi dietro.
Se chiedo qualcosa che non ho capito, probabilmente per loro risulterò un peso.
Meglio stare zitta e occuparsi delle scartoffie. Mi occupo delle mie perlopiù noiose mansioni, mi prendo le critiche su ciò che sbaglio.

Guardo l’orologio, avrei bisogno di una pausa; il telefono squilla ma non mi va di rispondere, vorrei solo che smettesse subito di fare rumore.

Inserisco dati nel gestionale. Continuo a inserire dati.

Il tempo che passa lento

Le prime due ore non sono neanche male, ma otto sono decisamente troppe. Ogni tanto capita qualche diversivo, qualche mansione più stimolante, che mi fa sentire utile, ma in fin dei conti sono sempre i superiori a decidere quali saranno i miei compiti.

In alcuni giorni non proferisco parola con quasi nessuno, ma continuo a inserire dati, interrotta solo dal telefono. Avverto poca passione in ciò che faccio, poco entusiasmo. Mi sembra di sprecare il mio tempo, ogni errore mi sembra l’ennesima prova di non valere abbastanza.

Non c’è tempo per insegnare il mestiere: lo devi imparare da solo

Sento l’impulso varie volte di chiedere chiarimenti su qualcosa che non ho chiaro, ma mi blocco e mi autocensuro.

Vado avanti, sperando che non accadano cose impreviste che mi mettano a disagio, come gli urli in faccia da parte del titolare.

Urla agli operai che sono troppo lenti, mi urla che non sono utile in azienda, che dovrebbe prendere un’altra ragazza. Mi dice che devo essere veloce, sono troppo lenta. Mi ordina di portargli un caffè. Mortificata, penso a tutto il tempo che vorrei dedicare a me stessa, penso al fatto che forse quello non è il mio posto.

Stremata, arrivo finalmente al pomeriggio. Torno a casa, mi sento stanca, con un po’ di impegno riesco a evitare di abbuffarmi per dar sfogo alla frustrazione. Il cibo è lì, a portata di mano, pronto a farmi dimenticare la frustrazione di non riuscire a esprimermi.

Tutto questo genera anche senso di colpa ed esaurimento

Quante energie rimangono dopo aver lavorato in un ambiente tossico?

Cerco di volermi bene.

Il tempo è limitato, è quasi ora di andare a letto. Il giorno dopo ricomincia tutto, e il giorno dopo ancora ricomincia tutto. E ancora, ancora.

Arriva il fine settimana e forse, se sono riuscita a mettere dei confini tra i miei bisogni e quelli degli altri (ma non è scontato), mi prenderò del tempo per me stessa, per ricaricarmi, sperando che la settimana dopo sia migliore. La domenica sera, sempre se sarò riuscita a ricaricarmi, andrò a letto rilassata.

Il giorno dopo tutto riparte.

Ci sono giorni in cui avverto già di prima mattina la voglia di piangere. Altre volte mi rendo conto di sentirmi inadeguata, disinteressata a ciò che sto facendo.

Se sei l’ultima arrivata, ti muovi nella realtà aziendale con titubanza e timore. Quel senso di inadeguatezza riaffiora e senti che ti dice: “Non ce la fai. Non ci riesci. Non sei abbastanza sveglia”.

Chiedersi se sia questa la vita che vogliamo

Eppure, in fondo, io l’ho sempre saputo che il mio lavoro ideale non era un lavoro d’ufficio, ad occuparmi di scartoffie. A me piaceva molto l’idea di poter rendere gli altri felici, oppure di esprimere la mia creatività.

Mi sento come se fossi in un pianeta di marziani che non hanno sentimenti, intrappolata in questa realtà che non mi appartiene.

E non so come uscirne, è come se ci fosse un tunnel davanti a me: io lo vedo, ma so che è lungo e non ho la certezza di trovare qualcosa di migliore dopo che lo avrò attraversato.

Così rimango in questo mondo di alieni, alienante. Un pesce fuor d’acqua, una di quelle che viene considerata rincoglionita, svampita, con la testa tra le nuvole.

Io ci ho provato ad essere come gli altri, mi sono impegnata. Eppure a volte si fa strada il pensiero che io abbia sbagliato tutto. Non ho seguito ciò che mi faceva battere il cuore, ho preferito adeguarmi alle aspettative di non so chi.

Si tratta di uno sfogo, non tutti gli ambienti di lavoro sono così

Questo è un articolo di sfogo per tutte quelle persone che, almeno in un periodo della loro vita, si sono sentite incapaci, nel posto sbagliato, frustrate, mummificate in un ruolo che non gli apparteneva. Nel mio caso specifico, si tratta di una esperienza passata (per fortuna), ma so che purtroppo molti ci stanno passando adesso.

C’è speranza per tutti, perché la speranza inizia davvero da dentro. E mi sento meglio quando penso che non sono il mio lavoro, sono anche altro. Gli altri non lo sanno cosa ho dentro, vedono una piccolissima parte di me, forse la parte ‘sbagliata’, quella che mi fa apparire inadatta, incapace.

Se volete condividere le vostre esperienze, scrivetemi nei commenti o alla mail chiara@pioggianellanotte.com. Sarò felice di leggervi.

Chiara

Senso di colpa ed esaurimento al lavoro

Senso di colpa ed esaurimento al lavoro

Quella che state per leggere è una mia esperienza legata all’esaurimento sul posto di lavoro.

Quanti di voi hanno preferito a volte recarsi al lavoro pur non sentendosi bene? Quanti sono rimasti nello stesso posto senza avere il coraggio di cambiare, anche a causa del senso di colpa?

La mia esperienza con il senso di colpa al lavoro

Personalmente mi sentivo come se avessi costruito una gabbia e mi ci fossi infilata dentro chiudendo la porta e dimenticandomi di averne le chiavi.

Lavoravo fino allo sfinimento. Più lavoravo con fretta e tensione, più mi sentivo esausta e sentivo di non fare abbastanza; i colleghi lamentavano la mia sbadataggine e le mie dimenticanze, io mi sentivo persa nella confusione delle mille scartoffie.

Ero sull’orlo della crisi. La sera prendevo di corsa il treno e dopo cena mi buttavo nel letto senza forze. La mattina mi alzavo già preoccupata per la giornata che avrei dovuto passare, tra colleghi indifferenti e un capo autoritario. Andare avanti in quel modo stava diventando un incubo.

Il mio corpo ad un certo punto disse basta, si ammalò. Cominciai a soffrire di una forma di gastrite nervosa che mi faceva provare delle fitte brucianti allo stomaco, oltre alla nausea.

Ma forse non stavo poi così male, così l’indomani mi recai al lavoro, un po’ sofferente. Del resto, mi ero purtroppo abituata a non sentirmi in forma, perciò qualche dolorino in più non mi spaventava più di tanto. Solo che, grazie anche all’accumulo di nervosismo, le fitte ogni tanto aumentavano di intensità.

“Beh, aumentano di intensità solo a volte, perciò non dovrei preoccuparmi”, pensavo.
Ma forse avrei dovuto.

Le persone intorno a me mi ammonivano dicendomi di ascoltare i campanelli di allarme del mio corpo, di fermarmi e riflettere se fosse il caso di mettermi in malattia.

“In malattia? No…penseranno che sono una lavativa…Non sto poi così male. Poi al mio ritorno dovrò affrontare il lavoro arretrato, e sono già in difficoltà con il lavoro normale.”

Mi angustiavo, rimuginando su ciò che gli altri avrebbero pensato e detto di me in mia assenza. Si sarebbero lamentati sicuramente di tutti i miei sbagli e dei miei atteggiamenti, così come facevano in assenza di altri colleghi.

Il mostro del senso di colpa si ingigantiva sempre di più ed io non riuscivo a distinguere i miei reali bisogni da quelli degli altri.

Ecco quindi i miei tre consigli per affrontare il senso di colpa al lavoro. Metterli in pratica mi ha aiutata a prendermi il diritto di rimettermi in sesto e di non sentirmi in colpa per questo. Per alcuni è scontato, per altri (me compresa) non lo è affatto.

Mettere nero su bianco i pro e i contro delle scelte che si prospettano davanti.

Il mio problema era che mi focalizzavo solo sui lati negativi di entrambe le scelte, così non riuscivo mai a prendere la decisione per me migliore.

Mettere al centro i propri bisogni.

Non pensare a ciò che diranno gli altri. Agli altri, soprattutto se sono sempre stati ostili, non andrà mai bene niente. Pensa piuttosto a ciò che ti aspetta se non segui te stesso/a: l’inferno.

Uscire il più possibile dalla propria testa.

Cucinare, scrivere, disegnare, giocare, aggiustare oggetti, ballare e tante altre attività hanno il potere di interrompere il circolo vizioso dei pensieri negativi. Bisogna solo fare uno sforzo iniziale per intraprendere quelle azioni che ci faranno sicuramente stare bene.

Lascio qui il link al canale YouTube del Dott. Francesco Catona, uno psicoterapeuta che ci ha purtroppo lasciati troppo presto ma che ha aiutato tante persone.

E voi avete mai indugiato a causa del senso di colpa, arrivando fino all’esaurimento? Raccontatemi la vostra storia!

Chiara

16 modi per risparmiare

16 modi per risparmiare

Una premessa sul significato che personalmente attribuisco al risparmio.

Tutto è cominciato quando, nel 2020, ho iniziato a lavorare in un’azienda in cui mi sentivo insoddisfatta, incapace, non all’altezza. Ho iniziato a riflettere sul fatto che sarebbe bello poter lavorare faticando ma allo stesso tempo sentendosi utili, capaci. Col passare dei mesi, la mia insofferenza si faceva sempre più insopportabile, tanto che durante la quarantena mi sono sentita libera, invece di sentirmi ingabbiata. Una sensazione contraria a tutte le aspettative. Mentre la paura, l’incertezza e la solitudine si diffondevano a macchia d’olio, io sentivo la tensione sciogliersi. Finalmente potevo tornare a dedicare del tempo a ciò che mi riusciva bene. Nessuno stava lì a dirmi che avrei dovuto essere più intraprendente, più sveglia, più attenta, più veloce, meno passiva. Avevo tutto il tempo per cucinare qualcosa che mi piacesse e che mi facesse bene.

Non è stata tanto l’assenza del lavoro a determinare il mio benessere psicofisico, bensì l’assenza della sensazione di essere sbagliata, di dover migliorare.
L’ assenza di pressione psicologica.

Tutto questo ha allegerito la mia mente dalla sensazione di dover fare di più. Ho pensato che, in fondo, non sentivo il bisogno di uscire al bar o di andare in discoteca a sfogarmi. Mi sono invece presa tutto il tempo a disposizione per scrivere, leggere i libri che non avevo mai avuto il tempo di leggere, dedicarmi a nuovi progetti e fare nuove ricerche, riordinare la mia stanza, fare esercizio fisico e ballare a tempo di musica davanti allo specchio. Il tempo si era completamente fermato; affacciandomi dal terrazzo, la strada sottostante era completamente vuota, silenziosa. Un silenzio misterioso, come se fosse un paese incantato.

Così mi sono resa conto che ciò che desideravo era una vita più lenta, con più tempo per leggere e scrivere, per cucinare e passeggiare. Mi ero lasciata andare al flusso, anche se ogni tanto facevano capolino pensieri inquietanti sull’incertezza del futuro, sulla ripresa della vita normale, sulla drammaticità della pandemia.

Ebbene, tra i tanti progetti che mi interessavano, uno spazio importante lo ha occupato il progetto del minimalismo, legato a quello del risparmio economico. Collego il risparmio economico a una maggiore indipendenza dal lavoro che svolgo. Risparmiare mi fa sentire maggiormente padrona dei soldi che guadagno.

Ho trovato alcuni modi carini per risparmiare continuando a godermi le piccole gioie della vita, fermo restando che ognuno di noi ha esigenze e passioni differenti, per cui se io decido di risparmiare ad esempio sulla discoteca, qualcuno potrebbe invece risparmiare più volentieri sui libri.

1. Acquistare e-book invece dei libri cartacei. Il lato negativo è che è più scomodo leggerli, a meno che non si disponga di un e-reader.

2. Prendere i libri in prestito invece di comprarli, oppure acquistare dei libri usati.

3. Disdire per qualche mese l’abbonamento a Netflix e a Storytel (per chi non lo conoscesse, è un’applicazione per ascoltare audiolibri), soprattutto quando so di avere poco tempo per dedicarmici.

4. Invitare gli amici a cena facendo portare a ognuno qualcosa, invece di andare con loro a cena fuori. Anche questa attività può essere alternata alle cene fuori. Per chi ama cucinare, è un buon modo di dare sfogo alla creatività.

5. Simile al consiglio n. 4, invitare gli amici per una bevuta, comprando le bevande (alcoliche o non) al supermercato. Stesso discorso per quanto riguarda i ghiaccioli da fare in casa: si possono comprare delle formine da riempire come si preferisce.

6. Creare un budget e decidere ogni mese in anticipo quanti soldi si vuole risparmiare, annotando poi le spese fisse e quelle variabili e suddividendole in categorie (cibo, svago, bollette ecc.), in modo da rendersi conto di quali sono le attività o gli oggetti per i quali tendiamo a spendere molto.

7. Se possibile, invece di comprare l’acqua in bottiglia, riempire di volta in volta le bottiglie vuote al fontanello di Publiacqua (che è una scelta anche più ecologica, fra l’altro) oppure utilizzare una caraffa filtrante (anche se in effetti ogni mese il filtro va sostituito).

8. Alternare delle giornate da trascorrere in casa o nelle sue vicinanze a delle giornate più ricche di avventura e viaggi (e quindi, più costose). A volte dei giochi da tavolo, un caffè e dei biscotti fatti in casa, nonché fare sport all’aperto o passeggiare, possono regalarci benessere a costo zero.

9. Fare la lista della spesa settimanale, basandosi sui piatti che ci piacerebbe mangiare di settimana in settimana (chiaramente si può anche decidere di fare la spesa due volte a settimana). Per i prodotti invece a lunga conservazione, per risparmiare può essere utile fare delle scorte ogni tanto da mettere in dispensa.

10. Imparare ad autoprodurre alcuni cibi, come il pane, le focacce e le piadine (oppure si può scegliere di alternare l’autoproduzione all’acquisto, per chi non ha tempo).

11. Portarsi il pranzo da casa al lavoro o all’università. Sì, forse è un po’ faticoso pensare ogni volta alla preparazione di un pasto, però io così ad esempio posso risparmiare circa 40 euro al mese, che non è poi così male!

12. Scegliere di andare a cena fuori al massimo una volta o due al mese (stessa cosa anche per le bevute tra amici e gli eventi).

13. Per chi può, utilizzare la bicicletta per muoversi in città. Personalmente sarebbe un sogno poter fare a meno dell’auto per andare al lavoro, ma non è così semplice. C’è chi c’è riuscito, però.

14. Farsi un giro ogni tanto nei negozi dell’usato, perché a volte si trovano delle vere occasioni!

15. Valutare se risparmiare per un fondo emergenza, che ci possa far sentire al sicuro anche in caso di perdita del lavoro.

16. Pensare al costo di un oggetto in termini di ore lavorate, così da rendersi conto se il gioco vale la candela! “Quante ore del mio lavoro vale questo oggetto?”

C’è un altro modo, inoltre, per risparmiare dei soldi: imparare dagli errori degli altri!
Per saperne di più: Tutti i miei acquisti sbagliati

Ultimo consiglio: godersi i piccoli piaceri, che siano costosi o non, e magari cercare di alternare gli uni agli altri. Io per esempio amo i massaggi ogni tanto, e li considero un lusso, però riesco a bilanciare bene i vizi più costosi e le attività semplici. Il segreto alla fine è sempre godersi il momento.

Ognuno di noi ha delle immagini legate al piacere. Per esempio, personalmente una delle immagini che associo al benessere è una tisana calda e un libro, oppure un bosco fresco e silenzioso di mattina. Queste immagini sono davvero terapeutiche, perché ci ricordano di stare nel presente, che non siamo solo i nostri problemi, ma che a volte possiamo sentirci bene a costo (quasi) zero. Il consumo sfrenato non risolve i problemi.

E voi che consigli dareste a chi decide di risparmiare? Scrivetemelo nei commenti.

Chiara

Sopravvivere con un lavoro tossico

Sopravvivere con un lavoro tossico

Sono le 6:00 del mattino. Ti alzi sentendo una sensazione di fastidio al petto, un macigno pesante che non ti permette di rilassare i muscoli. Poi ti prepari con la fretta addosso, parti e arrivi al lavoro.

Durante il tragitto osservi malinconicamente dal finestrino i flebili raggi solari che illuminano l’erbetta in lontananza. Noti delle persone che fanno jogging accarezzate dal vento fresco, le invidi un po’. Tu hai appena iniziato la giornata e ti senti già affannato, non hai nessuna voglia di rinchiuderti in quel posto che assomiglia a una prigione e non ti va di avere a che fare con nessuno.

Non ti va di dover dipendere dai superiori, non ti va di perdere dieci ore del tuo tempo in questo modo, dato che la vita è breve. Al fine settimana mancano ancora tre giorni, che sembrano eterni per chi li sta bramando ansiosamente.


A chi non è capitato, prima o poi nella vita, di ritrovarsi a dover andare a scuola, all’università oppure al lavoro sentendosi spossato già dal mattino?

E forse la stanchezza e la noia non sono le sensazioni piu’ fastidiose. Forse la sensazione che davvero ci toglie la scintilla vitale è l’angoscia. Sì, quel macigno nel petto che ci toglie forza nelle gambe, che ci fa tremare le mani e che ci fa venire voglia di restare a letto, rannicchiarci e chiudere gli occhi per dimenticare una giornata che non è ancora iniziata.


Vorrei qui condividere con voi alcuni consigli pratici che mi hanno aiutata ad attraversare un periodo lavorativo davvero difficoltoso per me, nella speranza di aiutare chi ci sta passando in questo momento.


Cominciamo.


1. Smettere di identificarsi col proprio lavoro.

Passando tanto tempo al lavoro, siamo portati a riconoscerci in una certa immagine di noi, dimenticandoci che al di fuori di quell’ ambiente esiste un mondo fatto di passioni, legami affettivi, condivisione. Personalmente, nel momento in cui mi sono trovata a fronteggiare la paura del lavoro, istintivamente mi veniva da chiudermi in quell’universo mentale fatto di paura e bassa autostima. L’immagine dominante era quella di una ragazza incapace, un po’ stupidotta e imbranata. Un disastro, insomma. A volte arrivavo a identificarmi con questa ragazza così tanto che dimenticavo di pensare al resto della mia vita. Arrivavo a casa senza energia e con la sola voglia di mangiare in fretta e furia dei cibi preconfezionati e buttarmi poi a letto a rilassarmi.

2. Crearsi degli interessi con cui esprimere i propri talenti al di fuori del lavoro.

Lavorate, dopo il lavoro. Mi spiego meglio: imparate qualcosa di nuovo, informatevi fate quello che vi riesce bene. Fatelo per il piacere di farlo, ma fatelo anche in vista del futuro, perché queste conoscenze potrebbero rivelarsi utili.

Per esempio, iniziate ad apprendere quella lingua che avete sempre voluto imparare; cimentatevi nel fai da te o mettetevi a scrivere, come ho fatto anch’io; fate un corso sull’autostima o leggete dei libri a riguardo, migliorate la vostra capacità di comunicazione. In una parola: non smettete di crescere. Occuparsi del proprio benessere significa anche faticare. Ben vengano il relax totale, il dolce far niente, le attività passive, ma perché non utilizzare una parte del nostro tempo libero per progettare la vita che vogliamo? Mai sentito parlare di Vision Board, ad esempio?


Oppure fate una bella lista dei vostri valori e una bella lista delle azioni che vi fanno sentire vivi, utili al mondo. Dare un senso alla vita al di fuori del lavoro è piu’ importante che piantarsi sul divano tutto il giorno a guardare la televisione! Sono necessarie azioni pratiche e, per queste ultime, è necessario ristabilire un equilibrio psicofisico al di fuori del lavoro, il che ci porta al terzo punto.

Ma prima, lascio qui il mio personale esempio di alcuni miei valori e passioni.

Valori:
Ecologia
Benessere psicofisico
Gentilezza d’animo
Apprendimento



Passioni:
Scrivere
Apprendere le lingue straniere
Ballare
Recitare
Leggere



3. Partire dall’energia.

Dicevamo, come si trova la forza di dedicarsi a ciò che ci fa bene se non si ha energia, se quando torniamo dal lavoro ci fa male la testa e abbiamo perso la gioia vitale?
Partendo da un programma di benessere psicofisico.

Ci sono varie strade: potete consultare un professionista che vi aiuti, potete informarvi leggendo, ma l’importante è iniziare a voler bene al vostro corpo e alla vostra mente. Ci sono dei cibi per il corpo che ci fanno bene, altri che di per sé fanno meno bene ma che dosati possono darci conforto (ad esempio una bella cioccolata calda); ci sono cibi per la mente utili e cibi dannosi, che ci trascinano nella passività. Sceglieteli con cura.
Creare una lista può aiutare molto a schiarirsi le idee. Inoltre mi sento di consigliare il libro “La trappola della felicità” di Russ Herris.

Iniziate a ritagliarvi un mondo di totale benssere al di fuori del lavoro e sicuramente riuscirete a migliorare anche il rapporto con quest’ultimo: lo potrete tollerare meglio, perché non vi sarete totalmente identificati con esso.

4. Evitare di allontanarsi da tutti (per quanto possibile).

Nel momento in cui mi è capitato di sentirmi in difficoltà sul lavoro, non mi andava di raccontarlo agli altri, perché il mio orgoglio mi impediva di condividere con gli altri un’immagine di me fragile, profondamente insicura.

Ma ciò che viene represso ci ruba energia, perciò ho preso l’abitudine di scrivere i miei pensieri riguardanti le mie angosce su un quaderno, insieme ai consigli che ho trovato utili su come ritrovare il benessere, e credo che avere dei buoni conoscenti con cui prendersi un caffè ogni tanto, o meglio ancora degli amici fidati, sia davvero un toccasana per il nostro benessere.

Chiaramente se viene a mancare il nostro equilibrio psicofisico, anche questi rapporti possono raffreddarsi, ma è proprio questo il momento in cui impegnarsi per coltivarli. La vostra mente ringrazierà.

5. Trattarsi con gentilezza e avere pazienza.

La cosa fondamentale è imparare a rallentare e a semplificare la propria giornata. In momenti di difficoltà, chiaramente le energie saranno più basse, quindi è inutile crearsi delle routine giornaliere complicate, per quanto sane possano essere. Questo andrebbe a generare ulteriore frustrazione. La cosa migliore è scegliere una piccola azione ogni giorno.

Queste erano alcune azioni che mi hanno aiutata durante una brutta esperienza lavorativa. Spero possa esservi utile, che in qualche modo possa accendere dentro di voi una lampadina o uno spunto di riflessione. Raccontatemi le vostre esperienze, perché leggerle è sempre interessante per me!

Chiara

18 marzo 2020. Quarantena e riflessioni sulla normalità

18 marzo 2020. Quarantena e riflessioni sulla normalità

Durante una quarantena forzata ci sono due possibili modi di reagire:

il primo è buttarsi sul letto, coprirsi ben bene e navigare in internet tutto il giorno;

il secondo è azzerare tutto, fermarsi un attimo, ripartire, ritrovare la fiducia che la vita possa prendere la direzione desiderata; dedicarsi ad azioni pratiche, costruttive, anche manuali.

Questa che state per leggere è il racconto della mia personale esperienza durante la Quarantena del 2020.

Per godersi la vita bisogna necessariamente uscire e frequentare locali?

In fondo, anche negli anni passati in casa ci stavo bene. Ad un certo punto, però, ho cominciato a pensare che uscire e distrarmi fosse l’unica regola per godermi la vita.

Lo devo ammettere, stare in casa quando sei legittimato a starci – anzi, quando sei costretto da una legge – è molto diverso da starci quando gran parte delle persone sono fuori a godersi la vita: ti fa sentire meno solo. Viceversa, stare fuori giusto per non stare a casa non è così appagante, perché ti fa comunque sentire solo.

E ora è tutto diverso, perché nessuno, vedendomi, potrà pensare che sia una fannullona che non è capace di trovarsi un lavoro: siamo tutti minacciati dalla stessa identica minaccia. Ora l’economia sta rallentando. E meno male. Mi dispiace doverlo dire, ma in un certo senso mi sento quasi felice. C’era bisogno di un’epidemia, per far sì che il nostro frenetico mondo cominciasse a rallentare?

Per fare in modo che in giro si vedessero meno macchine, meno foto di persone che hanno voglia di mostrarsi, meno aspettative verso gli altri (anche in ambito lavorativo, dato che la preoccupazione principale è quella del virus, mentre prima era la produzione). C’è qualcosa che non sta andando per il verso giusto, se alcune persone sentono sollievo per un virus che ha costretto quasi tutti a rallentare, a smettere di produrre oggetti che in larga misura sono superflui.

Qual è la normalità?

Mi rendo conto di avere un problema con la cosiddetta “normalità”. Sì, perché quando sento dire “voglio tornare alla normalità”, penso che quella non potrà mai piu’ essere la mia normalità.

Sentirsi sotto pressione per 5 giorni su 7, tornare a casa stanca per poi andare poco dopo a letto e ripartire l’indomani, aspettando il fine settimana per avere quelle tre ore di svago tra le altre faccende non può essere la norma. E’ per questo che preferisco utilizzare questa quarantena forzata per distruggere tutto e ricostruire la mia vita. Non mi lascerò sfuggire l’opportunità di disporre delle ore migliori della giornata per lavorare su me stessa, su ciò che mi fa stare bene, su ciò che potrebbe completarmi come persona e come lavoratrice.

La mia personale scaletta dei 5 giorni lavorativi

Lavorare 5 giorni.

Cominciando dal primo sopportabile, per arrivare al secondo e poi al terzo che comincia a diventare insopportabile, per poi sopravvivere al quarto e infine giungere, stremata, al venerdì.
No, non è la mia via.

Ma non dico che sia solo colpa dei miei colleghi, del capo, della società; riconosco una mia parte di responsabilità, ed ora che posso usufruire delle ore in cui mi sento più viva e lucida, posso finalmente preparare un piano d’azione con un unico obiettivo: star bene. Star bene anche da sola, star bene con diversi tipi di persone, STAR BENE.

Stare così bene da non ritrovarmi la sera con la voglia di vivere pari a zero.

Le persone che vivono in questo modo sono una buona parte dei lavoratori, che si ammazzano per tutta la settimana per poi spendere soldi in cene, alcol e discoteche il sabato sera. Io comincio a stufarmi.

La natura torna a respirare…

La natura in questi giorni si sta riprendendo i suoi spazi: lepri nei giardini pubblici, anatre nella fontana della Barcaccia a Roma…

Se mi affaccio dal terrazzo di casa mia posso vedere la strada statale sottostante. Il silenzio mi porta in un’altra dimensione. Sembra tutto sospeso.
La natura torna a respirare…
Non sento i motori delle auto, ma solo il rumore delle foglie mosse dal vento.
E, nonostante la tristezza e la paura per il virus, una parte di me si sente serena, finalmente la vita è entrata in modalità “pausa”. Finalmente mi fermo, respiro.

Chiara

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