Madri e no.

Madri e no.

Sembra che la vita di coppia sia scandita da eventi ben precisi. Si va a convivere o ci si sposa, poi dopo qualche tempo si decide di dar vita a un altro essere umano, che ameremo visceralmente, a cui insegneremo tutto ciò che sappiamo della vita.

Ma deve essere così per tutti?

Ho da poco letto il libro “Madri e no. Ragioni e percorsi di non maternità” di Flavia Gasperetti. Leggendo alcuni dei suoi capitoli mi sono venute in mente molte riflessioni sull’idea che abbiamo della maternità.

Perché non ne senti il bisogno?

Ho conosciuto tante ragazze che, fin da adolescenti, sognavano un giorno di avere una famiglia. Non si sono mai poste la domanda: “Perché voglio figli?”.

Per altre invece è vero il contrario. Non ne hanno mai sentito il desiderio, eppure avranno certamente incontrato persone che implicitamente avranno chiesto loro: “Perché non ne senti il bisogno?”. Dico implicitamente, perché anche senza porre direttamente questa domanda, alcune affermazioni o domande retoriche hanno lo scopo di sminuire l’idea di non avere figli, o di renderla non credibile.

“Cambierai idea, vedrai!”
“I figli sono la cosa più bella!”
“Altrimenti che viviamo a fare?”
“E quindi cosa pensi di costruire nella tua vita?”
“Se non hai figli, non puoi capire cosa sia la stanchezza.”
“Tu non sei madre, non puoi capire.”
“I figli sono tutto.”
“I figli sono il sogno di ogni donna.”
“Che tristezza, una coppia senza figli…”
“Quella è una zitella.”
“Rimarrai da sola…e poi da vecchia chi ci sarà ad accudirti?”
“Poi te ne penti.”
“I figli è meglio farli da giovani!”

Alcune coppie arrivano a separarsi, prendendo due strade diverse, perché uno dei due ha in mente il progetto di creare una famiglia, mentre l’altro si sente già appagato e non ne sente il desiderio.

E se non cambiassi idea? La storia dell’orologio biologico

Certo, magari alcune cominciano a sentire il desiderio più avanti con l’età. Eppure certe donne non lo sentono mai. Come si spiega? Hanno forse qualcosa che non va?

L’orologio biologico è una semplice metafora della fecondità femminile, divenuta molto popolare dagli anni ’80 in poi. Inizialmente non è stata una rivista scientifica o un medico a dare al termine il significato che conosciamo, ma un giornalista, Richard Cohen, in un articolo pubblicato nel 1978.

Fino ad allora l’orologio biologico era stato un termine relativo ai ritmi circadiani dell’essere umano, mentre al giorno d’oggi sta spopolando nel nostro immaginario collettivo, dopo aver trovato una prima legittimazione in uno studio scientifico del 1982, che innanzitutto era finanziato da una federazione di centri per la fecondazione artificiale, che aveva preso un campione molto ristretto (circa 2,000 donne che, a causa della sterilità dei propri compagni, avevano provato l’ inseminazione assistita).

Dal punto di vista scientifico non è possibile ricondurre la difficoltà a restare incinta soltanto all’età avanzata delle madri, poiché sono tanti i fattori che incidono sulla fertilità. Tuttavia, quasi sempre la pressione viene scaricata soltanto sulle donne, poiché responsabili di “non averci pensato prima”: abbiamo tutte presente l’immagine dell’orologio che rintocca e che ci spinge a provare ad avere un figlio in tutti i modi. Alcune donne arrivano a sentirsi meno donne, se il figlio non arriva; alcune vivono un periodo di forte stress e mettono al centro del loro mondo la speranza di una gravidanza.

“E quindi quando lo fate un figlio?” (cit.)

I lati meravigliosi della maternità.

Se non tutte vogliamo essere madri, certamente tutte siamo figlie. Quando penso a una madre (o a un padre), mi vengono in mente l’accoglienza, l’affetto, la protezione. Credo che il fatto stesso di concepire e dare vita a un essere umano sia un’esperienza meravigliosa della natura. Veder crescere il proprio figlio o figlia è una bella avventura, fatta sia di sacrifici che di gioie.

Molte persone non riescono infatti a immaginare un futuro senza almeno un figlio; molti affermano che si sentono vuoti, incompleti, alla sola idea di non averne. Il fatto di poter accompagnare un figlio durante la sua crescita, di insegnargli tutto, di trascorrere del tempo insieme, di spronarlo a dare il meglio di sé, di amarlo incondizionatamente riempie di gioia la maggior parte di noi.

I lati oscuri della maternità.

Ho avuto modo di capire che la maggior parte delle donne prima o poi sente il desiderio di concepire e mettere al mondo un figlio.

Conosco donne che, organizzandosi, sono riuscite a tirare avanti tutto: vita di coppia, lavoro, crescita dei figli, passatempi, tempo libero.

Una di queste mi ha spiegato che per lei avere un figlio significava aver trovato lo scopo della vita.

Spesso ci focalizziamo sul lato meraviglioso della genitorialità: sulla tenerezza.
Solitamente, quando le persone pensano ai figli, non riflettono sul periodo in cui potrebbero essere svegliati di notte quattro volte in due ore; non pensano al fatto che, soprattutto per la donna, le giornate dei primi mesi di vita voleranno via tra poppate e cambi di pannolini; non pensano al fatto che il corpo potrebbe subire dei cambiamenti, così come il desiderio sessuale e la vita di coppia.
Per amore questo si può certamente fare e prima o poi si creerà un nuovo equilibrio.

Quello che voglio dire è che trovo sbagliato far passare il messaggio che la maternità sia un perfetto stato di grazia composto soltanto da gioia e tenerezza. Molti romanzi e molti film non approfondiscono i cosiddetti lati ombra, che invece dovremmo conoscere tutti.

Silvia Abrami ne ha parlato molto dettagliatamente in un suo articolo:
https://www.silviaabrami.it/consapevolezza/gravidanza-ombra/

Inoltre, i figli non sono pupazzi. Non servono per colmare un vuoto affettivo, non servono per compiere ciò che noi non siamo riusciti a realizzare.

Leggo in un forum:
“Da quando ho avuto i miei figli ho rinunciato ai miei passatempi, al lavoro e al tempo libero. Eppure mi sento la donna più felice del mondo quando uno di loro mi guarda e mi dice che mi ama”.

Certo, lo posso capire. Tuttavia posso capire molto bene anche chi non se la sente di mettere al mondo un altro essere umano, con tutte le responsabilità che questo comporta.

In conclusione

Come già scritto, questa mia riflessione è nata dalla lettura del libro di Flavia Gasperetti.

Le domande che mi pongo sono:
I figli sono lo scopo ultimo della nostra vita?
Senza figli siamo incompleti?

Quale motivo vi spingerebbe a desiderare un figlio?
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La vendetta di Shakira

La vendetta di Shakira

La vendetta di Shakira sembra aver creato molto scalpore nella comunità social.
Molti hanno espresso la propria opinione, ed ecco la mia.

Il paragone con le altre

In una delle sue recenti canzoni, Shakira esprime tutta la sua rabbia, arrivando a paragonarsi con una Ferrari, a cui l’ex compagno avrebbe preferito una semplice Twingo.

A me questo paragone tra automobili ha fatto storcere il naso.

Sarebbe come a dire che lui è un cretino perché ha preferito una persona di poco valore rispetto a una che valeva di più: così viene alimentato il solito stereotipo delle donne che si paragonano le une alle altre, utilizzando come metro di paragone il proprio corpo o il proprio successo.

Alcuni hanno interpretato il paragone come se fosse riferito al valore globale della persona anziché all’estetica. In ogni caso, si tratterebbe comunque di una competizione che mira a screditare l’altra persona che, in effetti, ha agito alle sue spalle, ma non aveva nessun vincolo di fedeltà nei suoi confronti (diversamente dal suo ex compagno).

Comprendo la rabbia della cantante e capisco bene la sua voglia di rivalsa. Essere traditi, essere pugnalati alle spalle farebbe soffrire chiunque. Ma perché paragonarsi all’altra?

Certo, non ci aspettiamo che provi stima per quella ragazza, ma neanche che la sminuisca e la paragoni a un’automobile.

Vendetta

La vendetta è un danno materiale o morale per rifarsi di un’offesa ricevuta.

A molte persone la vendetta piace, così come assistere alle competizioni.

Darsi importanza, far valere i propri diritti, “cantarne quattro” a chi si è preso gioco di noi può essere giusto e liberatorio.

Dove sta qui la linea sottile tra prendersi una rivincita e vendicarsi? Forse sta proprio nel descrivere ciò che abbiamo subito senza scadere nelle offese e nella competizione.

Affrontare la fine di un amore

Questa vicenda mi ha fatto pensare a quanto possa essere difficile affrontare un tradimento (in amore, in amicizia, in famiglia). Essere lasciati non piace a nessuno. Fa male, ci ferisce e in alcuni casi risveglia ferite profonde risalenti addirittura all’infanzia.

Eppure, quando qualcuno ci lascia, spesso nella relazione c’era già qualcosa che non andava. Forse lo si era volutamente ignorato, per evitare di prendersi la responsabilità di affrontare la crisi, oppure ci si era concentrati su altre questioni, convincendosi che in futuro le cose si sarebbero risolte da sole; magari si era perso il contatto con l’altra persona e l’intimità, intesa come vicinanza psicologica, l’andare nella stessa direzione.

Forse non c’è un modo indolore di lasciarsi, però la trasparenza e la comunicazione aiutano a prevedere e ad affrontare eventuali crisi che potrebbero portare alla separazione. A volte la trasparenza manca da una parte o da ambo le parti.

Un amore che finisce rappresenta una grande perdita. Si era creata un’identità di coppia che cade in mille pezzi, vengono a mancare tutti i momenti vissuti insieme, il linguaggio particolare della coppia, la quotidianità, i pasti e le attività condivise. Provare rabbia e incredulità fa parte del processo. Per approfondire, qui c’è un articolo molto interessante scritto dallo psicologo Matteo Agostini.

Per concludere, comprendo il dolore di Shakira, il suo desiderio di rivalsa. Non mi sento nessuno per giudicarla come persona, poiché tutti siamo umani e ognuno di noi ha un modo diverso di affrontare il dolore.

Il corpo delle donne e la bellezza-potere

Il corpo delle donne e la bellezza-potere

 

Siamo nel 2009. Sono nel pieno dell’adolescenza, ho quindici anni. Il rapporto col mio corpo è altalenante. Passo le giornate a scuola indossando sempre il giubbotto, perché così mi sento protetta dai giudizi.

La sera ogni tanto accendo la televisione in cerca di qualcosa di interessante.
Una sera tra tante, mi imbatto in un programma. C’è un uomo vestito con giacca e cravatta che presenta una ragazza in costume, che non deve far altro che salire su una rampa per poi tuffarsi in acqua. La musica parte e lei comincia a salire.
Come ci saremmo aspettati, la telecamera la segue

Il fatto è che, mentre lei sale seguendo il ritmo della musica, il cameraman la riprende dal basso, direi quasi da sotto.

L’effetto è pornografico.

Rimango a guardare incredula, impotente.
Ogni tanto vengono inquadrati dei giovani uomini che si godono lo spettacolo a bocca aperta.

Ma ovvio! Cosa c’è di male in una bella ragazza in costume che fa un tuffo in piscina?
Assolutamente niente, vero?
Già.
E allora come mai mi sentivo indignata?

Intanto, in tutto questo, vorrei precisare che quelli per me sono stati anni difficili. Litigavo con la mia immagine molto spesso.

 

Industria del cibo vs. Settore estetico

Se l’industria del cibo propinava polpette ripiene di formaggio filante, patatine fritte, merendine ripiene di crema e cioccolato, gelati di ogni tipo, d’altra parte l’industria estetica mostrava di continuo corpi tonici, allenati, magri.

Pubblicità di cioccolatini, bibite zuccherate, dolciumi…Pubblicità con modelle magre, toniche, statuarie.

Non c’era forse qualcosa che mi confondeva in tutto questo?

Io, con i miei ormoni in subbuglio e i miei pensieri da adolescente, spesso mi sfogavo mangiando, per poi deprimermi quando la televisione mi ricordava che il mio corpo non andava bene così com’era.

Adesso, con l’avvento dei social network, non posso fare a meno di chiedermi: queste immagini continue – nelle pubblicità, nei programmi tv, nei film, nei video pornografici, nei video musicali, su internet– quali conseguenze possono avere sulla nostra psiche?

Ma soprattutto, come possono difendersi gli adolescenti e le adolescenti?

 

Qualche settimana fa mi è capitato di ascoltare delle ragazze lamentarsi del proprio corpo.

In un mondo in cui tutte o quasi cercano di apparire migliori, di truccarsi per far risaltare i tratti del viso, di mettersi i tacchi per sembrare più alte, di indossare reggiseni che comprimono e alzano il seno, io mi sono sentita spesso fuori luogo.

Ho ricevuto varie battute sul mio corpo.

Mi è stato simpaticamente detto che sono una tappa, una nanerottola.

Mi è stato chiesto “ma quanto sei alta?” con fare beffardo.

Ho assistito con disagio ad apprezzamenti sul seno prosperoso di alcune mie amiche/colleghe; mi sono sorbita commenti volgari sulle donne in televisione; mi è stato fatto notare che avevo un po’ di pancetta, che non mi vestivo bene, che non mi curavo abbastanza.

Per fortuna che tutti questi commenti non li ho subiti nella stessa giornata! 😉

 

Quel giudizio interiorizzato…

A volte ho immaginato di essere in una specie di ambiente dominato dall’occhio maschile, che ha il potere di promuoverti o bocciarti, guardando le tue caratteristiche fisiche.

Avevo pensieri di questo tipo sulle altre ragazze:

– “Tu non hai i lineamenti del viso perfetti, ma hai una quinta e sei abbastanza alta, meriti un 7.5. Promossa.”

– “Tu non sei molto alta e hai un seno piccolo, però ti curi molto, hai i capelli perfettamente lisci, porti i tacchi, ti trucchi e ti vesti in modo sensuale. Un bel 7.5. Promossa.”

– “Tu hai poco seno e le cosce grosse, ma sei abbastanza alta, hai un viso molto bello e ti curi, pur senza portare i tacchi e i vestiti corti. Un bel 9. Promossa.”

Ma qual era il mio giudizio su di me?

– “Sufficiente, dai. Un po’ insignificante. Direi uno scricciolo. Non fai niente per sembrare più alta, non ti trucchi, non migliori l’aspetto dei tuoi capelli. Sei piuttosto sciatta. Bassa, poco seno, cosce un po’ massicce. Porti sempre gli stessi vestiti insignificanti, le stesse scarpe basse.
Però, dai, non sei da buttare.”

Un corpo, nient’altro. Un corpo che fa cose.

Guardando i video musicali mi imbattevo in ragazze di straordinaria bellezza, donne che si imponevano per alcune caratteristiche fisiche: alcune avevano un bellissimo seno, altre erano alte e magre, altre ancora formose ma sode, quasi tutte truccate e ammiccanti. Tutte al centro dell’attenzione maschile, al centro della telecamera, riprese da dietro, dal basso, dal davanti.

Come se davvero fossimo tutte desiderose di questo, come il principe delle fiabe che tra tante ragazze ne deve scegliere una, la più bella.

Una specie di concorso di bellezza perenne, che incubo!

“Attenta, che quella è più bella, si prenderà tutte le attenzioni!”

Ogni tanto, pur avendo superato da un po’ gli anni adolescenziali, quando mi passavano accanto delle belle ragazze, le guardavo di soppiatto. Mi rendevo conto di guardarle con uno sguardo che mi era come entrato dentro e di cui non riuscivo a liberarmi. Le stavo votando, giudicando, sessualizzando io stessa.

Ecco, io non penso che sia solo un mio problema, in realtà. Ho avuto modo di constatarlo molte volte.

E ai ragazzi non va molto meglio, sicuramente.

 

Nel suo libro La naturale capacità di amare di M. Scardovelli, l’autore (giurista, psicoterapeuta e musicoterapeuta) affronta anche questo tema, contestualizzandolo nella società attuale.

 

 

La domanda giusta da farsi è: quali sono i miei valori?

La bellezza stereotipata che vediamo continuamente? L’ assenza di imperfezioni? O piuttosto il modo unico in cui sorridiamo, il nostro senso dell’ umorismo, le nostre capacità innate?

Vi invito, se non lo avete già fatto, a guardare il documentario di Lorella Zanardo “Il corpo della donne”. Si trova facilmente in rete. É di una veridicità disarmante e mostra senza pietà la pressione psicologica a cui siamo sottoposte giornalmente. 

Ma sta a noi scegliere di utilizzare la nostra mente per fini più utili.

E, vi garantisco, è possibile. Possiamo farlo.

 

A proposito, se vi interessa l’argomento, vi potrà interessare questo articolo: 3 consigli per distogliere i pensieri dalla bellezza

 

“Ho visto degli anziani che han degli occhi incantevoli,
e dei giovani che han degli occhi che fanno paura”.
Mauro Scardovelli

Ossessione per la bellezza: 3 consigli

Ossessione per la bellezza: 3 consigli

Nel mio articolo Il corpo delle donne e la bellezza-potere, ho raccontato alcuni pensieri che ho avuto in merito al mio corpo paragonato con i corpi delle altre ragazze.

Su internet vedo articoli e post che stuzzicano la polemica e che facilitano la presa di posizione da una parte o dall’altra; le ragazze che commentano in modo polemico certi post vengono spesso tacciate di essere invidiose della bellezza altrui.

Ma ci siamo mai chiesti come mai certi contenuti ci feriscano? Come mai la bellezza, l’apparenza, il giudizio degli altri ci ossessionano?

In questo articolo vorrei condividere tre consigli che mi hanno aiutata a superare il disagio di non sentirmi mai all’altezza.

1. Accettare di essere 40.

Ricordo che, durante il mio percorso di psicoterapia, a un certo punto venne fuori molto chiaramente la mia esigenza di piacere a ogni costo, di dare il cento per cento, di rimediare sempre ai miei errori e alle mie mancanze sul lavoro. Tutta questa pressione non faceva che creare tanta energia che mi intossicava i pensieri e mi faceva sentire impotente. Mi venne chiesto: “quanto pensi di valere in questo momento da 1 a 100?”

Risposi 40, e lo pensavo davvero.

Ciò che non mi immaginavo era che da lì in poi avrei utilizzato il mio stesso giudizio negativo (il pensiero di valere 40) per abbassare la pressione che io stessa generavo. Ogni volta che mi sentivo pressata dal desiderio di essere di più, o di valere troppo poco, mi dicevo “Sono 40, non possono chiedermi di essere di più. Posso rilassarmi. Partendo da 40 potrei anche diventare 60, ma vado bene anche se sono 40”. Lo stesso vale per quanto riguarda l’idea di bellezza. L’idea di dover raggiungere un modello, l’idea di potersi comprare dei bei vestiti solo se si è perfetti, di non essere abbastanza belli, è fuorviante. A volte è proprio liberatorio rilassarsi e dirsi: “sono 40, non posso e non voglio chiedere a me stesso di più”. E chiaramente questo non ci vieta di volerci bene, di mangiare sano e di fare movimento.

Giusto per chiarirci: l’idea di fissare un metro di giudizio da 1 a 100 è meramente simbolico e si trattava di un pensiero nella mia testa (che, in forme diverse, potreste avere anche voi): non voglio assolutamente dire che bisogna sminuirsi, ma che a volte persino un pensiero negativo può diventare un punto di partenza per accettarci e lasciare andare le aspettative esagerate nei nostri confronti.

2. Scegliere con cura il cibo mentale.

Se tutti i giorni ci guardiamo allo specchio in cerca dei difetti, se ci confrontiamo spesso con gli altri, se ci facciamo condizionare dalle battute, nei post sui social network, allora la nostra mente sarà portata ad ignorare il resto e a concentrarsi sull’argomento “bellezza”.

Ma se invece ci creassimo un ambiente pieno di attività che ci piacciono (oltre alle incombenze quotidiane, chiaramente), se ci dedicassimo alla cura di noi stessi e degli spazi che ci circondano, ad attività che ci fanno crescere personalmente e professionalmente, quanto spazio rimarrebbe per questi pensieri ossessivi? Ne rimarrebbe senz’altro meno, perché il nostro ‘cibo mentale’ sarebbe in tal caso costituito da altri contenuti, pensieri, interessi. Scegliamo allora con cura ciò che leggiamo e guardiamo, le attività che svolgiamo, le persone con cui usciamo.

3. Imparare a relativizzare ciò che vediamo e sentiamo.

Dato che la pressione per essere esteticamente attraenti è tanta e molti non la tollerano, sono tante le persone, soprattutto donne, che scelgono di concedersi un’operazione chirurgica. Molte di quelle che non si sottopongono a nessuna operazione postano foto con filtri di bellezza o in pose ammiccanti che fanno sembrare il proprio fisico simile a quelli che consideriamo perfetti. Questo significa che non possiamo considerare reale tutto ciò che ci viene mostrato. Anche le tipiche “battute da bar” tra uomini vengono fatte spesso ricalcando ciò che nella nostra cultura ci si aspetta di sentire da loro.

L’attrazione non dipende dalla perfezione estetica. Non solo, perlomeno. Pensiamo a tutti quei personaggi che hanno saputo ammaliarci senza essere esteticamente perfetti.

Tirando le somme, la bellezza non possiamo sceglierla. Possiamo scegliere però di sviluppare il nostro potenziale, di tirare fuori le nostre qualità e di coltivarle: il nostro fascino deriverà da questo.

Per esempio io, quando danzo, disegno, leggo, ascolto la musica, smetto di pensare a tutto il resto. Possiamo scegliere di non dare energia a certi contenuti, risparmiandola invece per qualcosa che ci rende più felici. Come consiglia anche Andreo Giuliodori, fondatore di EfficaceMente.com, una bella “dieta mediatica” a volte è quello che ci vuole.

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